Vovlas
Se mi chiedo il perché del successo della fotografia, opinione che si può avvalorare  con la constatazione che ormai in tutto il mondo la fotografia è l’arte contemporanea, la risposta che più mi soddisfa è quella che fa appello all’originale piacere estetico della condivisione. Certo il primo gradino della condivisione, per una fotografia, è quello iniziale della documentazione e della referenza: le foto dei viaggi, degli affetti familiari, dei reportage, delle foto di spettacolo. E’ paradossale che questo principio estetico socializzante e  originario, anche per chi  diventa un professionista o un prolifico e maniacale produttore di immagini per disinteressato piacere personale, nella gran parte dei casi resti non solo fondamentale ma anche esclusivo. C’è anche chi percorre  un lungo viaggio nella fotografia accompagnandosi con strumenti sempre più nuovi e raffinati, cedendo troppo al fascino ludico della tecnologia, ma non abbandona mai il continente della testimonianza. Sono costoro come naviganti che hanno bussole e radio ma non si allontanano dalla visione della costa. Per altri invece, e non sono molti, scatta ad un punto l’interesse per il linguaggio. La pratica fotografica si sgancia allora dalla esigenza documentaria, si confronta con le direzioni di senso e di ricerca dell’arte visiva, diventa esigenza riflessiva sul fare immagine e scritture. Il piacere della condivisione diventa affermazione identitaria ed autorale consapevole, capace di esprimersi in prodotti compiuti, mostre e pubblicazioni che crescono nel tempo.
Makis Vovlas ha da tempo iniziato il su percorso autorale e mostra oggi foto che ci danno lumi su una ricerca con due componenti profonde che si intrecciano e si alimentano a vicenda. Una è quella della competenza professionale, l’altra quella della esigenza produttiva formale. Makis studia le piante e la natura per professione ma fotografando per conoscenza e studio è anche un creatore di forme.  Attratto dalla scultura, nei suoi elementi materici e spaziali, guarda alla natura con l’occhio di chi vuole rivelare sensi e significati altri. Sensi formali e compositivi che nascono dalla particolarità dello sguardo ed emergono fusi e intrinseci. La densità e profondità dello sguardo del naturalista si coniuga alla seduzione della metafora analogica e le immagini perdono ogni pretestualità erratica e rapsodica per acquisire senso e vigore concettuali.  La condivisione con chi guarda oscilla tra apprezzamento dei significati cognitivi e forza sensoriale delle composizioni.
Vorrei insistere su questa profondità del legame del senso formale e del punto di vista competente, che è cifra particolare del lavoro di Makis. La necessità di raggiungere questo obiettivo è stato il rovello degli artisti della seconda metà dell’ottocento e il punto più alto di questa ricerca è stata l’attenzione alla singola pennellata, sur le motif, di Cezanne;  una duplice ricerca che agitò anche i poeti e i filosofi. La fotografia non immediatamente ha assunto questa ricerca come sua componente profonda è ha spesso ceduto alla seduttività della referenza o alla estetizzazione formalistica. I pittori, che hanno a che fare con forme libere da loro stessi create,  possono anche ricorrere alla evocazione di concetti astratti, ideologici o mistici, ma i fotografi devono sempre fotografare qualcosa di concreto e percepibile (salvo naturalmente sperimentazioni assolute) e la via più appagante, quella dei moderni maestri, è la valorizzazione della precisione e della ricchezza della informazione visiva. La densità informativa di una fotografia, che si spingeva qualche anno fa fino ai livelli microscopici delle molecole dei sali d’argento e oggi si misura sui  megabyte, è comunque il territorio specifico nel quale si misura il valore di ogni autore che non solo guardi ma voglia anche pensare e farci riflettere. Vale naturalmente la regola dell’equilibrio tra densità e leggerezza: nelle foto di Makis la densità è lo sguardo del naturalista che coglie i particolari utili e la significatività dei soggetti; la leggerezza è il gusto per la forma insolita e sorprendente la sottolineatura della flagranza vitalistica della analogia.
Vincenzo Velati

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