Pontorno1
L’utilizzo di tecnologie sofisticate che assumono il formato del quadro di genere o suggeriscono l’affresco costituisce per me un modo di interrogare il passato. Non si tratta di citare, ma di mantenere in vita la tradizione e dialogare con essa, nel tentativo di una ricerca di rapporti e probabili risultati. Il Triclinio di Livia, gli Horti Conclusi, i demoni warburghiani, i panorama, coesistono nel grande atlante del pensiero occidentale. In questo caso, naturalmente, è soprattutto la storia dell’arte a costituire l’interlocutore dell’io contemporaneo.
Solo il 3D può giustificare e sostenere il senso di questi lavori. Sembra di trovarsi di fronte a piante che si muovono al vento, e in effetti lo sono; ma sono piante finte mosse da un vento finto su uno sfondo che riproduce una finta natura. E tutto questo accade in quanto finzione, trattandosi di immagini di sintesi. Nulla di ciò che qui appare reale proviene dal mondo vero, tangibile, analogico. Le immagini sono puri vettori sintetizzati all’interno dell’elaboratore. Si crea così un cortocircuito dello sguardo: ciò che appare fotografia del vero non lo è. In tal senso l’uso del 3D è più vicino alla pittura e alla scultura di quanto non lo sia all’immagine fotografica e alla ripresa video. La tecnica 3D appartiene infatti al dominio del togliere e aggiungere materia: ogni elemento viene plasmato e modellato usando poligoni geometrici e rivestito con textures. Ciò che cambia è la consistenza della materia utilizzata: non il marmo, il legno o la tempera, ma il lume inconsistente e impalpabile dei pixel. Inoltre il 3D permette, almeno in fase di elaborazione, di superare lo scoglio della bidimensionalità. Perché ogni elemento modellato può, attraverso obiettivi e zoom digitali (dunque ancora virtuali, ancora finti), essere esplorato da ogni punto di vista. Garantendo così l’utopia dello sguardo totale. Una volta renderizzata (elaborata), l’immagine riacquista la sua valenza bidimensionale e univoca, ma porta dentro di sé una stratificata carica concettuale. Proprio questo elemento invisibile investe l’opera 3D di contenuti sottesi, ambiguità, complesse speranze di decodificazione. Ho scelto di lavorare con il 3D per tutte queste ragioni, considerandolo sempre un mezzo non da effetti speciali ma dalle infinite occasioni esegetiche.
da Art In Theory, Quando la tecnica diventa estetica. Intervista a Mariagrazia Pontorno, a cura di Domenico Scudero, 2007.

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