Tateo
Il sublime nella “Land Art”.
Il sublime nella raffigurazione della natura, soprattutto con il mezzo tecnologico, ha sempre alimentato una dialettica tra i sostenitori dell’idealismo e gli adepti del concettuale.
Il sublime,  così come teorizzato da Kant e Burke, non è il frutto di una speculazione retorica, ma può segnare le connotazioni anche dell’arte concettuale. Mi hanno convinto gli artisti e i critici con i quali ho interagito sin dal lontano 1968, quando giovanissimo, ho intuito che il mio “mezzo” tecnologico, nel mio caso la macchina fotografica, poteva generare fenomeni quali la partecipazione alle “performaces” al pari dell’azione dell’artista.
Nella “Ra3” di Amalfi, organizzata dal compianto Marcello Rumma con il sostegno critico di Celant, e il sotegno umano e colto di Filiberto Menna e di Achille Bonito Oliva, fu proposta “L’arte povera” a noi giovani artisti “in nuce”.
Capii che nelle “performance” degli operatori come Marotta o Lista, il mio coinvolgimento estetico e fisico, avrebbe condotto l’effimero della spettacolo verso non solo una memoria, ma avrebbe aggiunto un pretesto ulteriore per suscitare forte curiosità e meraviglia dell’uomo della strada.
A quest’ultimo la connotazione doveva suscitare l’attenzione per il “senso” che l’artista-performer
voleva agitare per la riflessione sul contemporaneo e sull’etica che in esso doveva prevalere.
Sul mio sito su “Flickr” è possibile osservare a quale livello fossi stato coinvolto nella “performance” sulla spiaggia di Amalfi, di Pietro Lista.
Teatro e tecnologia non solo documentativa ma per ampliare e esaltare la “connotazione” dell’artista concettuale.
Una esperienza che verrà recuperata nel 1979, da Lidia Carrieri a Martina Franca (Taranto), cooptando Enrico Crispolti e Vittorio Fagone e organizzando la Rassegna “Teatro d’Artista”, con “performance”di artisti del “sociale” e della “pop art” , ma anche organizzando dei seminari per introdurre al concetto del tema della rassegna stessa, tenuti da Mario Cresci, da Emanuela Sforza, e da Antonio Tateo, appunto.
In anni successivi, come “comunicatore visivo” ho spesso messo a frutto questa esperienza, al punto da trovare il “sublime” non solo nel mezzo tecnologico prevalentemente usato,  nella quotidianità vissuta e oggetto di profonda riflessione nell’attimo infinitesimale che precede la visione finale dell’immagine-comunicazione.
È il caso dell’apparente banalità di paesaggi che non sono sull’Himalaya o nelle tradizionali “coste” o, addirittura, abbiano i segni di una cultura “classica”, apprezzata nel periodo del “Grand Tour”.
Le mie due immagini esaltano la funzionalità dei terreni argillosi ai limiti tra la Puglia e la Lucania, o la rabbia espressa sui segnali dai cacciatori delusi di non aver trovato prede, da loro stessi fatte “estinguere”. Arte del sociale e concettuale attraverso la Land Art.
Antonio Tateo

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